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LIBRO QUARTO 187

cui in tanto mala guisa concio egli non rispondea verbo. Il perchè ritenutolo un vero prodigio vien mostrato, colà di passaggio, al principe. Questi eziandio ripeteagli le stesse domande, ma indarno; talchè non estimavasi più in vita osservandone adatto privo di moto il corpo, nè all’in tutto morto apparendone gli occhi nel pieno loro esercizio. Dileguossi finalmente a un tratto il prodigio. I circostanti adunque nella incertezza di consiglio, ebbero ricorso ad uomini maestrevoli nell’interpretare di tali eventi, i quali asserivanlo presagio di quanto accadrebbe alla repubblica: e che sarebbe per durare l’aspetto delle parti ammortite e logore dalle battiture e simili ad imminente morte insinattanto non rimanesse più segno veruno delle iniquità de’ magistrati e degli amministratori; nè a torto vera giudicheremo la spiegazione, mettendo per singulo ogni cosa ad esame.

L’imperatore Valente osservando tutta la Tracia oppressa dagli Scitici guasti risolvè mandare in prima contro alla cavalleria loro i condotti seco dall’oriente peritissimi delle pugne in sella. Questi pertanto avutone il comando, gli uni dopo gli altri ed in poco numero alla volta, uscirono delle porte di Costantinopoli e lanciottando il nemico allontanatosi da suoi commilitoni recavanne ogni dì molti capi. Gli Sciti allora estimando assai difficile impresa il superare la velocità dei Romani cavalli ed i colpi delle aste de’ guerrieri in sella risolverono tranellare la saracenica gente. Laonde, ascose insidie in bassi luoghi, tre di essi tentarono sorprendere un turco, ma la prestezza ed agilità de’ saraceni cavalli ed