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cevolezza: sicchè poco potrei errare in ciò; solo che tu non sii soverchiamente abbagliato di te stesso; perciocchè dove è piacevol motto, ivi è tantosto festa e riso, e una cotale maraviglia. Laonde se le tue piacevolezze non saranno approvate dalle risa de’ circostanti, sì ti rimarrai tu di più motteggiare; perciocchè il difetto fia pur tuo, e non di chi t’ascolta; conciossiachè gli uditori, quasi solleticati dalle pronte o leggiadre o sottili risposte, o proposte, eziandio volendo, non possono tener le risa, ma ridono mal lor grado; da’ quali, siccome da diritti e legittimi giudici, non si dee l’uomo appellare a se medesimo, nè più riprovarsi.

104. Nè per far ridere altrui si vuol dire parole, nè fare atti vili, nè sconvenevoli, storcendo il viso e contraffacendosi; chè niuno dee, per piacere altrui, avvilire se medesimo; che è arte non di nobile uomo, ma di giocolare e di buffone. Non sono adunque da seguitare i volgari modi e plebei di Dioneo: Madonna Aldruda, alzate la coda. Nè fingersi matto, nè dolce di sale; ma a suo tempo dire alcuna cosa bella e nuova, e che non caggia così nell’animo a ciascuno, chi può; e chi non può, tacersi: perciocchè questi sono movimenti dello ’ntelletto, i quali se sono avvenenti e leggiadri, fanno segno e testimonianza della destrezza dell’animo, e de’ costumi