Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/217


— 211 —


più fini la stoffa aveva la morbidezza sensuale. Il resto del tappeto era poi tutta una vetrina di oreficeria: su un fondo carnicino dorato, degno della grande rosa centrale, si svolgevano corone di ghiande verdi, di foglie azzurre, di perle ovali rosse, di ghirigori d’oro e infine, meraviglia delle meraviglie, un ampio cerchio di cuori. Cuori che riassumevano tutti gli altri colori; e più fulgidi e vivi di quelli che si vedono sulle pareti di certe cappelle miracolose: d’argento e d’oro, e alluminati e opachi; alcuni verdi e azzurri nello stesso tempo, altri rossi fiammanti, altri, infine, d’un viola livido come cuori di donne assassinate per amore.

Il sole, adesso allo zenit, illuminava a picco questa cisterna d’incantesimo; e già il mare mormorava il suo fresco congedo meridiano alla gente della spiaggia. Bisognava tornare a casa: si sentiva il richiamo della modesta tavola familiare, che aveva anch’essa i suoi scintillii di cristallo, i tulipani dipinti sui piatti, i ricami dei lieti conversari. Eppure si stava ancora a guardare il tappeto: la prima ad ammirarselo era la venditrice stessa, accovacciata sulla sabbia, rossa e sudata e coi piedi gonfi come una bestia da soma e da tiro che si abbandona alla sua eterna stanchezza. Forse, più che la pania del brillantissimo straccio, fu la pietà per quei