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Ogni volta che veniva in casa nostra la zia Rosaspina ci metteva la testa in subbuglio. Per fortuna veniva di rado, perché abitava distante da noi, quasi fuori del paese, in un’antica casa di sua proprietà, in mezzo a un grande orto fantastico, i cui cavoli fiori, di questa stagione, sembravano lune piene, e in primavera radioso di crocos coltivati, di eserciti di asparagi col cappuccio viola, e sopratutto di altissimi ciliegi, gioia di uccelli e spasimo di ragazzi errabondi.

Viveva sola con una contadina che le coltivava l’orto e faceva anche da cane da guardia: una donna fedele, piccola e maschia, che fumava la pipa e, all’occorrenza, sapeva sparare l’archibugio. La zia Rosaspina, invece, era alta, gentildonna di razza; ancora bella; ma il suo nome giustificava il suo carattere, perché era scontrosa e pungente, di una virtù esasperante: e, forse appunto perché perfetta lei, trovava da ridire su tutto e su tutti; e non le sfuggiva un’ombra del