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— Quella principessa mi desta una strana ripugnanza.

— Perchè? È una gentilissima persona.

— Sì: ma non so... vedi...

— Cosa?

Ella tacque; poi riprese, con voce assonnata:

— Ricordi quella domatrice di leoni, che abbiamo veduto a Parma? Guardava le donne in un modo strano. Non sapevo a chi rassomigliava la principessa... pensavo... pensavo... Gli occhi son simili a quelli della domatrice... Hai visto come mi guardava fisso?

— Ebbene? Le sei riuscita simpatica: chissà che non ti lasci qualche centinaio di mila lire, quando muore!...

— Ma è ricca davvero?

— Diamine! È milionaria.

— Aveva i guanti sporchi.

— Ma hai visto che anelli?

— Che m’importa degli anelli, quando i guanti sono sporchi?

Regina tacque: poi rise piano piano, poi s’addormentò. Sognò di trovarsi nel bosco, sulle rive del Po, verso Viadana. Un molino scrosciava sulle acque lucenti, e questo molino era un castello con grandi sale parate di rosso, appartenente a madame Makuline. La principessa era morta, ma la sua anima stava arrampicata su un pioppio, attraverso il cui fogliame argenteo brillava il fiume, d’un color viola cristallino. Il molino scrosciava come un tuono; e Regina seduta sulla scalinata del castello, si lavava i piedi con l’acqua verdognola che copriva i gradini; un’anitra bianca veniva a beccarle il dito mignolo del piede destro e rideva.