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— Ed io, forse, capisco te? Ci comprendiamo noi? Pensaci bene, Antonio, pensaci. Ci comprendiamo noi? Ci siamo mai compresi? Che ne so io che tu non mentisca? Che ne sai tu che non mentisca io? Vedi, — ella proseguì, stendendo la mano verso il Tevere, — ci sembra di essere vicini, ed invece, siamo lontani come le rive di questo fiume che si guardano sempre e non si toccheranno mai!

— Fammi il piacere, finiscila! — egli disse, amaro, ma umile e supplichevole. — Sii buona, cara, non tormentarmi! Non dire queste orribili cose. Può darsi benissimo che io non arrivi a capirti, ma tu, sì, tu devi capirmi. Ragioniamo, vediamo assieme quello che bisogna fare. Io... io farò tutto quello che tu vorrai... Non l’ho sempre fatto? Non sono buono, io? Dillo tu, non sono buono? Dimmi che cosa devo fare, ma non dubitare di me. Non ci mancherebbe altro! Se perdiamo la nostra pace, il nostro accordo, che ci rimarrà?

Egli parlava piano, umile, quasi dolce, ma con quella dolcezza che si usa verso i bimbi malati e perciò riottosi. Prese la mano di Regina e la pose sul suo ginocchio, e sopra appoggiò la sua mano.

Regina sentì pulsare e vibrare quella mano, la cui carezza oramai non si comunicava più al suo sangue.

Sì, era vero. Egli aveva fatto sempre la sua volontà: egli era un debole, e questo era il suo errore e la sua difesa. Sì, egli era buona, ma troppo buono. Non solo lo spirito, ma anche il corpo le aveva dato: questa misera carne mortale egli l’aveva venduta per lei. Tutto le aveva