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tere in ordine le valigie, chiedeva a sua madre notizie dei suoi conoscenti.

La vecchia signora ansava e sospirava, e rispondeva alle domande del figlio senza abbandonare con gli occhi la giovine nuora.

— Dove mi lavo? — chiese Regina. I suoi grandi occhi castanei, di solito assai vellutati e dolci, socchiusi di stanchezza, erano diventati quasi selvaggi.

— Qui, — disse Arduina, precipitandosi verso il lavabo. — Qui, cara. Ecco, c’è tutto. Il sapone, la cipria, il pettine. Che sapone preferisci?

Regina non rispose. Si lavò, prese la salvietta che la cognata le porgeva, s’accomodò i capelli chinandosi sul basso specchio del lavabo.

— Siediti, — disse Arduina, mettendole una sedia dietro. — Così non vedi.

— No, seduta ci vedo meno, — rispose Regina, sempre più irritata. — Son miope.

Questa notizia immerse le donne in un profondo stupore. Claretta si volse vivamente contro lo specchio; la signora Anna, che esaminava la fodera della mantella di Regina, sollevò gli occhi stupiti e quasi addolorati; Arduina guardò sbalordita i bellissimi occhi della cognata.

— Miope! Con occhi così belli!

— Così giovine! — esclamò la vecchia signora.

— Ebbene, che importa? — rispose Regina con voce aspra. — Noi siamo tutti miopi di famiglia.

— Hai l’occhialetto? — chiese Claretta.

— L’ho, ma non me ne servo: non mi piace.

— È molto chic, anzi, — disse Arduina. — Ecco, cara, slarga un po’ i capelli sulle tempia: