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dalle cinque alle sette. Con la sua redingote verdognola, un fazzoletto di seta nera intorno al collo, un piccolo cappello duro in cima alla grossa testa circondata da una folta capigliatura grigia e polverosa, era così compassionevole che non faceva neanche più ridere. Lia lo ricevette nella piccola saletta terrena, umida anche d’estate, e dopo i primi complimenti gli versò da bere. Egli evitava di guardarla, e le sue mani rossastre posate sul grosso pomo del suo bastone da pastore tremavano come quelle dello zio Asquer nei suoi ultimi giorni di vita.

— Ecco il vero amore, — pensava Lia; e non sapeva perchè si sentiva allegra come una bambina davanti ad un giocattolo.

— Ebbene, mi racconti di Roma, — egli disse finalmente, guardando i mattoni su cui cominciò a batter la punta del bastone. — Roma eterna, madre dei cuori! Un paradiso, eh?

Ma Lia, che pensava a Roma come ad un paradiso perduto, cominciò a fare un quadro fosco della città.

— È l’inferno, le dico! Tanto è vero che voglio lasciarla. La gente umile e povera come noi non può viverci più.

La zia Gaina, che spiava dietro l’uscio, sollevò la testa meravigliata. Con lei sua nipote non aveva mai parlato così.

Il Maestro a sua volta, che, ad onta dei precetti del Profeta di cui leggeva con ammirazione