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sua solitudine, di questa sua impotenza a muoversi, ad andare contro il destino. Le pareva di essere veramente legata, costretta a non dibattersi; e stava ore ed ore piegata con la guancia sul polso, come rodendo la catena che la avvinceva, mentre ogni tanto gli occhi di cerva prigioniera si volgevano intorno cercando il varco ove fuggire.

La primavera dolce e velata le penetrava fno al sangue e accresceva la sua smania. Ma era sopratutto un dolore ch’ella non voleva approfondire, quello che le gonfiava il cuore: era lo stesso dolore che l’aveva costretta a piangere davanti a Sebastiano.

Simone non tornava....

Un giorno, in quaresima, indossò le sue vesti più belle: tra le falde scarlatte del giubboncino si intravedeva il velluto perlato del corsetto come il chicco della melagrana attraverso la buccia spaccata; i bottoni di filograna d’argento dondolavano dall’apertura delle maniche, ciascuno con una perla cilestre nella punta, come intinti nell’azzurro di quel cielo di marzo.