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cia l’accetta e cominciò a palparla; alla luna chiara la lama mandava scintille come un grande acciarino.

Ma d’improvviso, senza che il vento sorgesse, un gran fremito passò nella notte e gli alberi cominciarono la loro danza; la loro voce nota parlava al cuore del vecchio e le foglie che adesso cadevano fitte gli sembravano lagrime. Sì, ballavano e cantavano piangendo, i vecchi alberi giganteschi, ed egli ricordava Bakis Zanche, il padrone morto, che si metteva là sotto la tettoia in faccia al mare, e cantava, pure avendo un grande affanno nel cuore. E adesso la sua anima era là, di ritorno, e si aggirava nel luogo e scuoteva gli alberi e gemeva nella notte.

Il vecchio fattore non aveva paura; a un tratto però balzò ascoltando, rimise l’accetta e se ne andò piano piano, fedele ancora al suo antico padrone; e badava a non calpestare neppure le foglie secche per non offenderne l’anima di ritorno.

*

Per via ecco Pancraziu: il cane che egli si tirava addietro legato a una grossa fune cominciò ad abbaiare furiosamente appena vide il vecchio; ma il servo disse col suo fare ironico:

— Non fatene caso, chè abbaja anche contro i suoi padroni. Io ero tornato in paese per fare le pubblicazioni di matrimonio con Ignazia la