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parve entro una macchia d’oleandro come il sole in mezzo a una nuvola; riapparve e l’orizzonte sfolgorò di nuovo, di nuovo il grido «alò! alò!» che accompagnava il nitrito del puledro fece vibrare tutto il paesaggio.

Ma come non vedesse Vittoria, egli tirò dritto verso il campo all’altra sponda; ed ella sentì alle sue spalle lo scricchiolìo delle stoppie calpestate dal puledro e le parve che anche il suo cuore si stritolasse così.

La gobbina vigilava, però, dietro la roccia, raccogliendo e piegando i panni con cura: si drizzò davanti a Mikali e gli accennò Vittoria.

— Ti aspetta da tanto.

— E che m’importa? Aspetti pure, sette domeniche e sette giorni, come ho aspettato io...

Intanto balzava a terra e dopo aver legato il puledro a un ginepro lasciandogli la corda lunga perchè potesse pascolare, si avvicinò a Vittoria.

— E che fai, da queste parti?

Ella non rispose, immobile, con gli occhi fissi lontano.

— Dormi? Non rispondi al saluto? Eppure tua zia dice che hai da parlarmi.

Allora gli occhi di lei brillarono come l’acqua del torrente, di lagrime d’odio e di passione; d’un gesto buttò via la gonna dal capo e tese il braccio con l’indice minaccioso.

— Io? Parlarti? Quella ruffiana ha detto questo? Io a te, io?

— Abbassa la voce, Vittoria! È forse la prima volta che ci parliamo?