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L’ingegnere non s’impressionava neppure di questo, ribellandosi a quell’insinuarsi di aria fiabesca che spirava nel luogo. Gli affari sono gli affari. Smontò dunque, non senza una prudente lentezza, legò il cavallo ad una delle inferriate, e si scosse tutto come per rimettere a posto le sue membra piegate dal lungo cavalcare.

Era quello che si dice «un bel pezzo d’uomo», alto, col petto che pareva imbottito e le lunghe gambe dritte, fasciate come quelle dei cacciatori e dei guerrieri. Il suo primo pensiero fu per il cavallo: lo aveva fatto abbeverare prima di partire, e adesso gli legò al collo un sacchetto d’orzo: si assicurò che stava bene all’ombra, gli batté la mano sul fianco, poi, senza perderlo di vista, andò in cerca del cane, quasi certo che altri non ci fosse.

E appena fu dietro la casa, vide infatti legato davanti ad una saracinesca rossa che chiudeva una delle bocche di scavo, un grosso mastino, che al suo avvicinarsi si sollevò alto come un uomo, con gli occhi accesi di rabbia. Ma un vecchio uscì subito da una porticina della casa, e ai suoi cenni e alle sue carezze la bestia si placò. Scabra e selvaggia era d’altronde anche la sua figura, e sullo sfondo infuocato della saracinesca, egli e il cane formavano come un gruppo scolpito nella materia del minerale intorno: piccole macchie chiare solo il viso giallo dell’uomo e i