Pagina:Deledda - La vigna sul mare, 1930.djvu/263


— 257 —

L’aspetto del negromante ce l’aveva, quando ci apparve sul pianerottolo in cima alla scaletta: poiché gli stivaloni e il costume da caccia erano sostituiti da un bel paio di pantofole orientali e da un vestito da camera a fiorami gialli e viola, stretto alla vita da un cordone del colore dei capelli dello strano personaggio.

Fin dal primo sguardo, egli aveva riconosciuto la serva e la figlia del suo amico: ci salutò, dunque, con una voce che non pareva più la sua, tanto gentile e mansueta risonava, e ci fece subito attraversare un piccolo corridoio sul quale si aprivano alcuni usci, pregandoci di «prender posto» in una stanzetta che doveva essere il salotto.

Mentre egli leggeva la lettera, fra lo smarrimento generale io osservavo con una certa calma l’ambiente, che però non mi rassicurava del tutto. Era una piccola stanza col soffitto di legno grezzo, le pareti completamente coperte di armi e trofei di caccia. Un nibbio imbalsamato apriva le grandi ali secche come ventole, sopra una mensola polverosa. Ma quello che più impressionava, che dava al luogo un colore tra l’antro brigantesco e il presepio, era il mobilio; sedili, angoliere, tavolini e scaffali tutti fabbricati col sughero: alcuni rozzi, altri decorati e traforati con una finezza artistica sorprendente.

Oltre ai recipienti d’uso pastorale e domestico, io conoscevo già qualche oggetto confezio-