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giatori assetati, bicchierini di vernaccia, o di acquavite, o tazzine di caffè reso innocuo dalla mescolanza con l’orzo. Ma i ricordi delle case delle fate, lucenti d’occhi di finestre ospitali nella notte della foresta, impallidirono al nostro arrivo a Macomer, e precisamente dopo che, smontati dalla tiepida diligenza, si entrò in un vero palazzo illuminato a giorno; e si fece sosta in una grande sala dove le tavole, con fiori e argenterie, sembravano apparecchiate per un banchetto nuziale. I nostri cestini si nascosero ben bene, nei ventri della bisaccia, vergognosi davanti alle vivande, ai dolci e alle frutta che abbondavano sulle mense.

Era, infine, il ristorante della stazione.

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Dopo di che, solo la meraviglia del treno poteva cancellare le altre emozionanti sorprese.

E solo dopo quella del treno, l’arrivo a Cagliari, il nostro Casteddu Mannu, il Castello Grande, la più bella e forte città del mondo, che sola può competere con la sua rivale Sassari, gloriose metropoli entrambe, superiori a tutti i Castelli, le Ville, i Fori antichi e moderni. Al carpentiere-mago brillavano di fierezza gli occhi: pareva che l’incanto della radiosa città, delle sue palme, dei suoi bastioni, delle sue