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don eveno 97

cucito appuntato sul ginocchio, e i capelli increspati le descrivevano un’aureola trasparente, sfumata nella luce.

Don Evéno la vedeva traverso una porta aperta, oppure percorrendo la stanza sulle lunghe corsie, e pareva non badasse a lei, come lei non sollevava la testa dal lavoro.

Agli ultimi di marzo Mikela ebbe un po’ di febbre. Non voleva accusarsene, ma Evéno la riconobbe subito per sofferente e la curò affettuosamente. Ella disse:

— Sarà perchè mi ho tolto il fazzoletto.

E voleva rimetterselo.

— No, no, lascia stare, non è questo. Non voglio che te lo rimetta. È orribile. Fallo per me, non rimetterlo.

Era quasi supplichevole, tanto che Mikela, ferma nella sua idea di aver la febbre per la rotta abitudine, se lo rimise sì, ma appena sentiva rientrar lo zio se lo strappava rapidamente di testa e lo nascondeva.

Una sera però non poté levarselo. Don Evéno la trovò coricata sul divano della stanza da pranzo, con la febbre fortissima. Imbruniva, e dalla finestra, sempre chiusa, scendeva un cerchio di luce morente e melanconica.