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di un grande fazzoletto giallastro che le avvolge sempre la testa: la punta del naso ossuto e un occhio scialbo da idiota. Ancora non ho sentito la sua voce: sempre china sul focolare pare non abbia altra preoccupazione se non quella di tenere il fuoco acceso: in realtà cucina; fa il caffè, la polenta, le focacce senza lievito, cuoce le castagne e le patate fra la cenere; gioca con le brage come i bambini con le pietruzze della strada. Il vecchio lavora nel campo; ha una distesa di rape e di verze che è il suo orgoglio e la sua ricchezza. Niente animali in casa, – per via delle alluvioni, – egli dice con coraggio. – Non si possono tenere nel piano di sopra. E poi, che me ne faccio? Il somaro sono io, il cane sono io. Il porco, va bene, è comodo; ma se dò da mangiare a lui, non ne resta per noi.

La quiete quindi è completa, qui, finchè almeno non si sveglia il leone della fiumana: il silenzio, a volte, è quasi allucinante. Da quando ci sono io non ha mai soffiato il vento; ed è fortuna perchè quando piove, e spesso a dirotto, l’acqua vien giù compatta, come una cascata che guai se dovesse sbattersi di traverso. Allora la fiumana s’ingrossa e si gonfia, con un rumore cupo che pare sotterraneo, come se l’acqua, invece di precipitare dai declivi dell’orizzonte, sgorghi dal sottosuolo della valle, per un effetto quasi vulcanico; e si allarga rapida-