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trario che si apparecchiasse la tavola in camera sua.

Venne su la sora Rosa, con la tovaglia e i piatti e domandò a me che ne era avvenuto della signorina Agar e dei coltelli.

— Che ragazza, Dio mio, — sospirò; andò a cercarla, e per un pezzo non si seppe nulla neppure di lei.

Ed ecco finalmente padre Leone, con la zuppiera vaporante fra le mani: lo seguiva Agar, col cestino del pane, e sembrava lei, adesso, il cagnolino, mortificata e attenta, con le treccie incrociate ipocritamente sul petto come una piccola sciarpa.

Non mi guardò in viso: tuttavia osservai che, o per meglio piacermi, o da signorina bene educata, per mettersi a tavola, aveva fatto toeletta: ed era veramente bella, col suo vestito di lanetta rossa, la cintura lucida, le calze di seta: anche in cima alle treccie aveva messo due anellini rossi, e rossa era la collana che sulla fossetta della gola versava come una grossa lacrima sanguinante. Mi ricordò Salomè: e glielo dissi, per mettermi dalla sua parte contro il tirannico padre Leone. Tirannico, a poco a poco, anche con me: pretendeva che io mangiassi il doppio di quanto veramente ne sentivo il bisogno; mi riempiva di continuo il piatto e non lasciava che Rosa lo portasse via finché non era vuoto.