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Ho la speranza che la mia guida mi faccia attraversare la cucina, anche perché io amo molto queste vecchie cucine paesane, col grande camino nero, gli utensili ancora medioevali, le figure primitive che vi si muovono, il gatto che si inarca strofinandosi contro i mobili.

Ma il padre mi fa uscire sullo spiazzo e spinge il cancelletto dell’orto, chiuso da un semplice saliscendi. L’orto, come dissi, è in salita: una specie di vialetto coperto da un pergolato ancora nudo, corre su fra il muro di cinta e una siepe di mortella. Si sente l’odore della terra, del rosmarino, degli ortaggi concimati; il silenzio è attraversato dai gemiti amorosi delle cornacchie che s’inseguono sopra il campanile della chiesa. Mi domando in qual punto Agar usa fermarsi coi suoi misteriosi amici notturni; e d’improvviso la mia curiosità si fa quasi gelosa. Quali sarebbero questi amici? Conosco press’a poco tutti i giovanotti del paese, ma son contadini, operai, piccoli negozianti: e mi rifiuto a credere che la nipote del parroco possa degnarli dei suoi favori. Inoltre osservo che l’orto non ha quei recessi ombrosi necessari ai convegni segreti: è una specie di bandiera verde, spiegata sull’asta del vialetto, con un ondulare argentato di cavoli, di carciofi, di rape: il terreno è molle, smosso, e facilmente si scivola. Solo in alto, sulla muriccia che lo divide dalle so-