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per smorzare una fiamma più alta delle compagne. Ma non si smorzava la mia curiosità, anzi si accendeva di più: e capii benissimo che mi spingeva l’istinto, quell’istinto che è in tutti noi come un cieco che va a tastoni ma non si sbaglia mai, quando Paolone, dopo molte mie richieste e insinuazioni e tranelli, mi raccontò che si diceva essere stato il signor podestà a iniziare la fanciulla ai notturni segreti d’amore.

Antioco non mi aveva neppure vagamente accennato ad Agar, quando si era parlato della chiesa e del parroco: giusto riserbo; anzitutto per dovere di gentiluomo, e poi perché veramente non eravamo amici da simili confidenze; né io glielo avrei permesso. Anzi tentai subito, di fronte a me stesso, di credere che tutto fosse il solito pettegolezzo paesano: e, infine, che importava a me degli amori delle coppie locali? Ma sì, che m’importava. Chiuso nella mia cameraccia, mentre Paolo era andato anche lui a dormire, leggevo e pensavo. Sentivo il fuoco crepitare sotto la cenere; sentivo di fuori il mormorìo sognante dell’acqua, e mi pareva una voce sotterranea, che salisse da una profondità lì vicina a me, anzi dentro di me. Era la mia coscienza che diceva:

— Ma, e l’argine? Non sei venuto qui per un argine anche morale? Se c’è da fare qualche cosa per quest’Agar, quest’anima che erra nella