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mormorìo dei soveri, appassionata e triste:

«Per quella cosa, amore mio.»

«Che gl’importa? Eravamo ragazzi, senza senso, col desiderio chiuso come la mandorla acerba. Ci sembrava di odiarci, mentre ci amavamo. Tu stessa l’hai detto, quel giorno, qui seduta sotto il sovero; dicevi: "egli mi credeva cattiva, ed io lo credevo cattivo; e ci maltrattavamo a vicenda. Ma adesso che ci conosciamo, lui sa tutto di me ed io so tutto di lui".»

Ricordava parola per parola la canzone d’amore di Francesca, e si strofinava gli occhi chiusi sull’erba per rivedere gli occhi di lei. Li rivedeva: oro, tenebre, tutto il verde della primavera, tutta la luce liquida delle notti di luna. Amore, amore! E gli pareva che un vento irresistibile li portasse via, assieme, congiunti in un possesso ch’era una vertigine quasi mortale.