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la bocca rimasta aperta esprimeva un disappunto infantile. Forse aveva sperato di trattenersi e divagarsi un po’ con me nella sua solitudine: ma io in quel momento l’odiavo.

Eppure sentivo che avevo torto; sentivo in fondo che ella aveva pietà di me perché ero diverso dagli altri uomini; ed io non potevo trattenermi con lei appunto per questa sua pietà.

Mi buttai all’ombra di una siepe, sul ciglio della strada, fra la polvere, come un vagabondo: le ginocchia mi tremavano, per la stanchezza, per il dolore, per la fame.

Allora squartai il cestino, proprio lo squartai, allargando le sue anse come si allargano le gambe di un animale morto per estrarne i visceri: e divorai ferocemente ogni cosa e bevetti la bottiglia sino in fondo; poi buttai via tutto, di là dalla siepe, come si buttano i rimasugli di un pasto di viaggio dal finestrino del treno.

Mi pareva davvero di viaggiare: tutto correva intorno a me. Era la mia testa che girava per l’effetto del vino!

Piano piano mi lasciai andare in fondo al ciglione e mi ci sdraiai come in una culla: ma non dormivo; anzi tutte le facoltà erano sveglie, in me, e sentivo un dolore infinito sotto quel piacere animale della sazietà, dell’ubriachezza, dell’