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e tende bianche e arancione, che facevano concorrenza a quelle delle paranze in pesca, si staccavano sullo sfondo glauco del mare.

Ancora una volta vado giù per il viottolo e guardo la casa rossa, più rossa del solito, quasi cremisi, per il riverbero del sole al declino: e pensando che dentro c’è un uomo che soffre, ho un po’ di rimorso per la nostra festa.

Più giù, nel cortile della Marisa, fra i polli, i gatti, le oche monumentali, col cane giallo accucciatogli ai piedi, vedo l’amico anarchico intento ad una faccenda che stona grottescamente con la fama di lui. Dalle sue ginocchia pende una rete da rammendare; e poiché gli manca il refe, egli ha in mano la conocchia e il fuso e se lo fila da sé.

Lo saluto con un cenno della mano: tanto lui che il cane si alzano per farmi atto di omaggio, e mi seguono con gli occhi.

Ritornai indietro, e ripassando davanti al villino dei Fanti, sulla loggia, adagiato