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lini davanti alla porta d’ingresso: ma d’un tratto prese per me una parvenza fantastica perché una finestra venne socchiusa e il suono del violino di Gabriele tremolò nell’aria incantata; sempre con gli stessi accordi, quasi di un fanciullo che comincia a studiare eppure ha già pretese di saperne molto. Era però il suono stesso dello strumento, che mi rammolliva il cuore, riportandomi ancora alla notte indimenticabile passata nella nostra casa dall’ospite stravagante.

Invano cercavo di scuotermi, e di rallegrarmi al pensiero che dunque, se suonava il violino, Gabriele non stava tanto male: sentivo una nenia di morte, in quelle vibrazioni che arrivavano come tentacoli fino a me; e che ancora una volta egli mi parlava così come poteva, con un balbettìo delirante, per dirmi l’inesprimibile.

E la mia idea fissa non mi abbandonava.

«Egli muore disperato: e mi chiama per consegnarmi l’anima sua. Bisogna che io vada.»