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nione del ragazzo disobbediente al quale è capitata qualche inconfessabile disavventura, perché mio marito, già seduto a tavola davanti alla tazza di caffelatte che Marisa gli aveva preparato, mi guardò fra l’inquieto e il severo.

Andai a mettermi le calze e le scarpe, domandandomi ancora una volta se dovevo parlargli di Gabriele: sì, dovevo: ma il modo ostile col quale egli mi accolse a tavola, come appunto si accoglie un ragazzo che si vuol punire, mi chiuse le parole in bocca. E di nuovo una ingiustificabile melanconia sorse fra noi quella mattina, in apparenza perché io non ero tornata subito indietro appena egli mi aveva chiamato, e perché più tardi non volli fare con lui la solita passeggiata lungo la spiaggia: in realtà perché io mi sentivo profondamente turbata e preoccupata per la macabra riapparizione di Gabriele, e sopratutto perché mio marito, senza spiegarsene la ragione, sentiva a sua volta che qualche cosa d’insolito e di grave ci separava.