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tutto la sua padrona per non subire l’umiliazione d’essere sgridata da lei.

— Tu, figlia mia, se non sei contenta di me devi dirmelo subito, con buone maniere, — diceva con la sua voce dolce e stanca. — Le persone beneducate, e tu hai fama d’esserlo, non si abbassano mai a sgridare i propri servi; anzi li trattano bene, e dicono loro, quando li comandano «fatemi il piacere» e «grazie» quando sono serviti.

Per non smentire la sua fama di persona beneducata, Marielène cercò di contentarsi della nuova serva; anzi continuò a chiamarla signora, ma non potè abituarsi a dirle «mi faccia il piacere» quando le dava gli ordini, e tanto meno «grazie» quando l’altra li eseguiva. Ad ogni modo andavano d’accordo, e lavoravano tutte e due come due schiave. In breve cominciarono a scambiarsi qualche confidenza; però la «signora» Arrita era molto riservata e severa e non rideva mai. Alta e robusta, col viso severo circondato da un fazzoletto scuro, rassomigliava, anche nel modo di parlare, alla maestra Saju; ma nonostante questa rassomiglianza ella non poteva soffrire la vicina di casa della sua padrona.

Una sera, verso i primi di maggio, mentre appunto ella criticava Sebastiana che a