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Il Ghisu fu dunque «mandato via», ed egli non parve addolorarsene molto. Di tanto in tanto continuava a recarsi al paese di Ballora, e visitava i Pintore. Di matrimonio, naturalmente, non si parlava, perchè la fanciulla stava sempre male; ma verso la fine d’estate, quando le prime pioggie rinfrescarono l’aria e ripulirono alquanto le strade immonde del villaggio, Ballora si sentì meglio. Il suo viso cereo si colori, i suoi occhi s’animarono. Un giorno ella vide presso il suo letto la figura alta e bella dello zio Matteu e s’accorse che egli la guardava fisso, con uno sguardo tenero e ardente. Anche lei lo guardò; egli uscì dalla camera senza pronunziar parola, e andò dal Sindaco.

La casa comunale, non più alta delle altre case del villaggio, sorgeva sull’orlo della valle; dalla porta si scorgeva un meraviglioso panorama di valli e montagne, e in lontananza Nuoro appariva bianca e rosea sulla cresta verdognola della vallata d’Isporosile.

Il Sindaco fumava la pipa, seduto sul gradino della porta, e leggeva una lettera del Sottoprefetto di Nuoro.

— Alzati, e vieni con me. Devo parlarti — disse Matteu Pintore.

Senza muoversi il Sindaco sollevò gli occhi beffardi, e disse con ironia:

— Vieni forse per domandare le pubblicazioni di matrimonio di tua nipote?

— Forse: alzati, — ripetè l’altro, quasi minaccioso.