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Era venuto l’uomo del sughero, cioè il negoziante che ogni sette anni acquistava il prodotto non dato dalle ghiande delle querce sugherifiche centenarie del vastissimo bosco sull’altipiano della Serra, ma dalla corteccia dei tronchi; corteccia spugnosa, elastica, a strati ogni anno sovrapposti gli uni agli altri, compatti e leggeri, a maturazione completa, come un legno dolce e, alla superficie, rivestiti di una scorza fungosa grigiastra che serve ad accendere e avvivare il fuoco. Il sughero scelto veniva estratto da lavoratori abili, che lo incidono all’altezza e alla base del tronco, poi in lunghezza, in modo che si stacca a strisce larghe, alquanto concave, che vengono bagnate per allargarsi e appianarsi, e infine legate a pacchi come lastre di gomma rossastra, preziosa quanto il marmo. E viaggiano, queste umili escrescenze nate e cresciute nei boschi primordiali, dove pascolano i porcellini allegri e intelligenti, e i pastori solitari spezzano le ossa coi denti forti come zanne d’avorio; vanno dapprima al macero delle fabbriche di tappi e poi in tutto il mondo, a rendere più allegre le feste, a saltare con orgiastica violenza fra i pazzi zampilli delle bottiglie di vino spu-


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