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di vita, un desiderio di cantare, di godere, di spassarsi.

Quasi ogni giorno, lui, prete Porcheddu, il priore e qualche altro amico se n’andavano lontano, all’ombra delle alte macchie. Tutto taceva nella metallica quiete del pomeriggio; davanti a loro i monti pittoreschi di Lula si profilavano nitidi e turchini sul cielo puro, e in lontananza, tra il verde della brughiera, i cavalli correvano agilmente, inseguendosi in rapidi giri. Pareva un quadro. E gli amici, piacevolmente sdraiati sull’erba, si raccontavano l’un l’altro il loro passato più o meno avventuroso, le leggende della chiesa, storielle di donne, vicende epiche accadute ai Sardi antichi. Spesso la conversazione veniva interrotta da un gorgheggio, da una fischiatina di prete Porcheddu: qualche volta anzi il signor cappellano balzava improvvisamente in piedi e dava in isgambetti, oppure cantava accompagnando con mimica grottesca le sue libere canzonette.

Un giorno, l’antivigilia della festa, stavano appunto così, all’ombra d’un gruppo d’enormi lentischi, ed Elias finiva di raccontare come una volta un detenuto suo compagno aveva bastonato un aguzzino, perchè costui aveva