Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/238

188 appendice


Tu ti inganni: essi sono uomini che hanno bisogno di spiegare la loro abilità, null’altro. Anticamente gli uomini andavano alla guerra: ora non si fanno più guerre, ma gli uomini hanno ancora bisogno di combattere, e commettono le grassazioni, le rapine, le bardanas, non per far del male, ma per spiegare in qualche modo la loro forza e la loro abilità». Perciò il bandito gode piuttosto la simpatia del popolo e, se viene preso e messo in prigione, dicono con una frase espressiva tutta paesana che egli è «corso in disgrazia». Poi quando venga rimesso in libertà, nessun marchio di vergogna lo accompagna; anzi al suo ritorno nel paese nativo egli viene salutato con le parole: «Un’altra disgrazia simile fra cento anni!». Il costume della vendetta regna ancora in Sardegna, e colui che per vendicare la morte di un parente uccide l'uccisore gode la stima generale. Il tradirlo viene considerato come un delitto. «Anche se» — dice uno scrittore — «la taglia posta sulla sua testa fosse tre volte maggiore, non si troverebbe in tutta la contrada di Nuoro un solo uomo disposto a tradirlo. Perché là regna soltanto una legge: rispetto per la forza dell’uomo e disprezzo per la giustizia sociale».

In questo paese, così poco influenzato dalla coltura del continente italiano, crebbe Grazia Deledda, circondata da una natura selvaggiamente bella e da gente di una certa grandiosità primitiva, in una casa che aveva qualche cosa della semplicità biblica. «Noi ragazze» — racconta Grazia Deledda — «non abbiamo mai il permesso di mostrarci fuori altro che per andare alla messa, oppure qualche volta per fare una passeggiata in campagna». Non ebbe modo di approfondire molto i suoi studii e, come le altre fanciulle borghesi della sua terra, frequentò solo la scuola comunale. Più tardi prese alcune lezioni di francese e d’italiano, perché in casa sua si parlava in dialetto sardo. La sua preparazione scolastica non fu quindi straordinariamente grande. Sapeva sì a menadito e gustava molto le canzoni popolari del suo paese con i suoi gozos, mutos e cerbos e ne conosceva assai bene le leggende e le tradizioni; di più nella sua casa, che relativamente alle condizioni della Sardegna era abbastanza agiata, ebbe occasione di leggere qualche opera letteraria italiana e qualche romanzo tradotto. Ma questo era tutto. Ciononostante la giovinetta cominciò ad amare lo studio e alla età di soli sedici anni scrisse una fantastica novella tragica — Sangue sardo — , che riuscì a far pubblicare in un giornale di Roma. A Nuoro questo ardimento dispiacque assai, perché quella gente non era abituata a vedere