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un’abile maestra. La maestra era stata donna Maria, e gli angioletti erano tutte le fanciulle che abitavano nel palazzo.

A questo punto bisognava assolutamente mostrarsi commossa, e, potendolo, fare, dall’alto della rampata della scala, un discorso di ringraziamento. Cosima si coprì il viso col fazzoletto, ma non poté piangere né parlare. E del coro, composto in suo onore, non le rimase in mente che il motivo monotono e quasi triste, che si confondeva con un rumore lontano, da lei non ancora mai bene inteso, che le pareva quello del pino nella vigna. Era il rumore del mare.


Era lì, il mare, in fondo alla larga strada, che costeggiava una fila di case nuove bianche abbaglianti. Cosima aveva sempre più l’impressione di trovarsi in una città orientale: palmizii, cactus ed altri alberi esotici si movevano pesanti su quel cielo caldo, sullo sfondo turchino del lido. Sui balconi fiorivano i garofani; un odore di erbe aromatiche scendeva dalla collinetta coperta di pini che chiudeva l’orizzonte di fronte alla strada. E la gente era tutta fuori, come nelle sere d’estate; e canti e suoni di mandolino continuavano, di fuori, il coro in onore di Cosima: così a lei sembrava, ma invece di orgoglio ne provava quasi paura.

Dopo averla rimpinzata di dolci e bevande, la sua ospite, che continuava a baciarla e quasi a lec-