Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/50


— 40 —

moci! E che cosa è infine la paura della morte, nell’uomo? E la certezza di morire prima del tempo, per malattia, dopo lunghe crisi di dolore. Se l’uomo morisse di morte naturale, cioè senza dolore, d’una morte che è dolce come il sonno in un essere sano, cosa che non può avvenire perchè il nostro organismo è imperfetto, la paura della morte sparirebbe.

Ma Giorgio non si confortava.

— Fa vedere la lingua, — gridò il dottore curvandosi sul letto.

La lingua era gialla, screpolata, ed egli scrisse una ricetta e la porse a Pretu:

— Scarafaggio, marcia....

— Devo prendere il bicchiere?

— Niente, corri....

Mentre il servetto correva, egli sedette sullo sgabello e allungò una gamba.

— Sì, sì, tu hai ragione, Jorgeddu carissimo! Ieri io mi trovavo nel bosco, su, sull’altipiano; c’era un bel sole e le roccie eran calde. Io mi coricai sopra una di esse, incavata, come una culla, e stetti là quasi due ore come un bambino, cioè come un animaletto felice. Il cielo era azzurro e i colombi selvatici passavano sul mio capo ed io pensavo: mi infischio di voi: passate pure, non vi prendo. Anzi, dirò di più: sorridevo nel vederli passare, appunto come il bambino stupido che dalla sua culla sorride agli uccelli e alle nuvole. Ed io pensavo, sì: l’uomo è nato per viver solo: gli eremiti che han fama di essere stati magnifici egoisti, erano invece uomini ancora vicini alla loro primitiva perfezione di animali. Essi seguivano il loro istinto, quello che non ci inganna, mai! Caro mio, da giovane io pensavo di raddrizzar le gambe ai cani, e la superstizione, l’ignoranza, l’infingardaggine mi sembravano le tre gambe storte dell’animale uo-