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pellegrini, il palpito del Molino, il gemito della fisarmonica di Zuannantoni. Egli ascoltava, aggrappato bocconi al muricciuolo e da una parte vedeva la cucina delle sue padrone, dall’altra una distesa nebbiosa come lassù dal Monte Gonare.

Donna Ester saliva dalla valle col viso coperto da un’ala nera; sollevava l’ala, mostrava il suo viso scuro, doloroso, gli occhi velati di pietà, ma si traeva indietro dal muricciuolo come per paura di cadere; ed ecco altre figure salivano, tutte col viso nascosto da un’ala nera, e tutte si avvicinavano ma si ritraevano subito spaurite, spaventate dal pericolo di precipitare al di là.

Efix le riconosceva tutte, queste figure, le sentiva parlare, capiva che erano vive e reali; eppure aveva l’impressione di sognare: erano figure del sogno della vita.

Era il prete, era il Milese, era Zuannantoni, erano le serve di don Predu, e don Predu stesso e Noemi: a volte qualcuno di loro si faceva coraggio e cercava di aiutarlo, di trarlo giù dal muricciuolo, senza riuscirvi.

Ed egli cominciò a provare fastidio di loro; volse il viso di là e fissò la valle nebbiosa. Ed ecco la nebbia cominciò a diradarsi; macchie di boschi dorati apparvero fra squarci di azzurro, e sul ciglione sopra di lui un melagrano come quelli di cui raccontava il cieco curvò i suoi rami pesanti di frutti rossi spac-