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mento: gli pareva il battito d’un cuore, d’un cuore nuovo che ringiovaniva la vecchia terra salvaggia. Là dentro a quel palpito batteva il sangue di Giacinto, ed Efix sentiva voglia di piangere pensando a lui. Eccolo, gli sembra sempre di vederlo, alto sereno, bianco di farina come una giovine pianta coperta di brina, purificato dal lavoro e dal proposito del bene. Tutti lo amano, ed egli è gentile con tutti. Le donne che portano il frumento al Molino si aggruppano intorno a lui curvo a pesare la farina, e lo guardano con occhi di madre, con occhi d’amante. Efix era stato una sera a trovarlo, e fra il rombare della macchina e l’agitarsi delle figure pallide su uno sfondo ardente, fra l’incrociarsi delle ombre e lo stridere dei pesi, gli era parso dì intravedere uno scorcio del Purgatorio, e Giacinto che penava fra i dannati ma aspettando il termine dell’espiazione.


La domenica dopo Pasqua andò a una piccola festa campestre nella chiesetta di Valverde.

Era un pomeriggio freddo e sulla vallata dell’Isalle battuta dal vento di tramontana, con monte Albo giù in fondo fra le nuvole come una nave incagliata in un mare burrascoso, pareva dominasse ancora l’inverno.

Efix seguiva una fila di paesane avvolte nelle loro tuniche grevi, e col vento che gli