Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/167


— 159 —

tre, le donne e il servo, balzarono come svegliandosi da quel sogno di morte.

Era ancora la vecchia Pottoi che veniva a domandare notizie di Giacinto: si avanzò come un’ombra, ma doveva aver lasciato fuori qualcuno perchè si volse a guardare, mentre le dame si ritiravano sdegnose.

— Da cinque giorni il ragazzo è assente e non si sa dov’è! Dillo tu; anima mia, Efix, dov’è?

— Come posso dirvelo se non lo so neppur io?

— Dimmelo, dimmelo, — ella insistè, curvandosi su Efix e toccandosi le collane quasi volesse levarsele e offrirgliele. — L’avete mandato via? L’ha mandato via donna Noemi?... Dimmelo, tu lo sai. Grixenda mia muore....

Si curvava, si curvava, e sul suo profilo nero come su quello di una montagna Efix vedeva brillare una stella.

— Che cosa posso darti, anima mia?

— Ma nulla, vecchia! — egli disse a voce alta. — Vi giuro che non lo so! Ma appena sarà qui vi avvertirò....

— Tu sei buono, Efix! Dio ti pagherà. Vieni là fuori.... Confortala....

Gli afferrò la mano e lo attirò fuori. Grixenda stava appoggiata al muro e piangeva come contro una prigione che racchiudesse tutto il suo bene e dove lei non poteva entrare.

— Ebbene, che hai? Tornerà, certo.