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xiv - la «maccaronea» 53


«parodia scoperta», se guardiamo alla conclusione ingegnosissima; perché, giunti i cavalieri nella regione infernale delle menzogne poetiche. Merlino te li pianta, e si ferma colá come nella sua patria. Questa patria de’ poeti, de’ cantanti, degli astrologi, de’ negromanti, di tutti quelli


                               qui fingunt, cantant, dovinant somnia genti,
complevere libros follis vanisque novellis:
     


è una conchiglia, o piuttosto una immensa zucca, secca e vuota, «mangiabilis, quando tenerina fuit», dove tremila barbieri strappano i denti a’condannati. E Merlino esclama:


                               Zucca mihi patria est: opus est hic perdere dentes
tot, quot in immenso posui mendacia libro.
     


E tronca il racconto, e dice addio a Baldo :


                               Balde, vale studio alterius te denique lasso.      


Il poeta conchiude beffandosi di Baldo e della sua arte e di se stesso, che ha composto un vero mostro oraziano, fuori di tutte le regole, perduti i remi, mescolati l’austro co’ fiori e i cignali col mare:


                               Tange peroptatum, navis stracchissima, portum,
tange, quod amisi longinqua per aequora remos:
heu heu, quid volui, misero mihi, perditus Austrum
floribus et liquidis immisi fontibus apros.
     


È il comico portato all’estremo dell’umore. La caricatura del Boccaccio, la buffoneria del Pulci, l’ironia dell’Ariosto è qui l’allegro e capriccioso umore di una negazione universale e scoperta, nella forma piú cinica.

In questa negazione universale la satira penetra dappertutto, e attinge la societá, come il medio evo l’aveva costituita, in tutte le sue forme, religiose, politiche, morali, intellettuali. La scolastica è messa alla berlina: san Tommaso e Scoto e Alberto stanno come visionari accanto agli astrologi e a’ negromanti. Megera fa un terribile ritratto di tutt’ i disordini della Chiesa e