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4 | storia della letteratura italiana |
la morte di Leonora d’Aragona, moglie del duca di Ferrara. Nell’ introduzione si scopre ancora lo studente e il dilettante :
Rime disposte a lamentarvi sempre, accompagnate il miserabil core in altro stil che in amorose tempre: ch’or giustamente da mostrar dolore abbiamo causa, ed è si grave il danno che appena so s’esser potria maggiore. |
I suoi amori in italiano sono platonici, alla petrarchesca; in latino sono sensuali, all’oraziana. In latino tiene Megilla tra le braccia, e non può credere a’ suoi occhi, e dice:
An haec vera Megilla, cuius detineor sinu? Haec, haec vera mea est; nil modo fallimur, mi anceps anime: en sume cupita iam mellita oscula, sume ex pedata diu bona. |
Ma in italiano Megilla è «l’alta beltade», che «col suo beato lume illustra e imbianca l’occaso»; e l’amante è «nel dir lento e restio», e non descrive, perché «chi descriver puote a pieno il sole»?
Non è valor uman che tanto ascenda. |
Se avesse potuto apprendere il greco, Anacreonte o Teocrito gli avrebbe instillata nell’ immaginazione un’altra fraseologia: perché tutto questo è un gioco di frasi. Ma, tutto dietro al latino, non pensò per allora al greco:
Ché ’l saper neila lingua degli achei non mi reputo onor, s’ io non intendo prima il parlar de li latini miei. Mentre l’uno acquistando, e differendo vo l’altro, l’occasion fuggi sdegnata, poi che mi porge il crine ed io noi prendo. |