Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
220 | storia della letteratura italiana |
uomo, hai la barba: come potesti preferire a me le cose fallaci
della terra,
o pargoletta od altra vanitá con si brev’uso? — |
Le presenti cose col falso lor piacer volser miei passi, tosto che ’l vostro viso si nascose. |
Come si vede, è l’antica lotta tra il senso e la ragione, che qui ha il suo termine; è la vita tragica dell’anima fra gli errori e le battaglie del senso, che qui si scioglie in commedia, cioè in lieto fine, con la vittoria dello spirito. L’idea è piú che trasparente: è manifestata direttamente nel suo linguaggio teologico. Ma l’idea è calata nella realtá della vita e produce una vera scena drammatica, con tale fusione di terreno e di celeste, di passione e di ragione, di concreto e di astratto, che vi trovi la stoffa da cui dovea sorgere piú tardi il dramma spagnuolo.
Dante, pentito, tuffato nel fiume Lete, è menato a Beatrice dalle virtú, sue ancelle:
Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle. Pria che Beatrice discendesse al mondo, fummo ordinate a lei per sue ancelle. Menrenti agli occhi suoi... |
O isplendor di viva luce eterna, chi pallido si fece sotto l’ombra si di Parnasso, o bevve in sua cisterna, che non paresse aver la mente ingombra, tentando a render te, qual tu paresti lá, dove armonizzando il ciel ti adombra, quando nell’aere aperto ti solvesti? |
Compiuta la rappresentazione, ricomincia la processione sino all’albero della vita; dove, antitesi a questa Chiesa gloriosa di