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l’ugolino di dante 35


L’importanza di quello che segue, è tutta nella presenza de’ figli. Se Ugolino fosse solo, il racconto finirebbe qui, né il fiero uomo dimorerebbe ne’ particolari della sua agonia. L’offesa non è la morte sua, ma de’ suoi figliuoli. E questo lo rende altamente interessante. Ve ne accorgete al tono cosí tenero e molle del suo dire, quando per la prima volta mette in iscena i figli:

                               Pianger sentii fra ’l sonno i miei figliuoli.
Ch’eran con meco, e dimandar del pane.
                         
Questa vista lo commuove tanto, che provoca la sua sdegnosa e brusca apostrofe a Dante, non commosso del pari al pensiero di ciò che «si annunziava» al cuore del padre. Quello che si annunziava al cuore era non il dover morir lui, ma il dover vedersi morire i figliuoli. E quando sente «chiavar l’uscio di sotto all’orribile torre», il primo suo atto è guardare in viso i figliuoli, che non avevano sentito nulla ed erano ignari della loro sorte. Una vena di tenerezza penetra in questa natura salvatica; l’amore paterno abbella la sua figura e raddolcisce anco il suo accento. Quella musica scabra ed aspra nel principio e nella fine, quella musica dell’odio ferino prende qui la morbidezza e la soavitá quasi dell’elegia.

C’è qui un nuovo Ugolino, che non si può concepire da sé, che ha bisogno, per esser compreso nel suo infinito dolore, di essere studiato ne’ figli.

I figli sono giovinetti, stranieri alle passioni e alle lotte politiche, nuovi de’ cari della vita, che si trovano colá dentro e non sanno il perché. Il padre è tutto il loro universo. L’ideale di questa «etá novella» è la serenitá della vita. Nell’anima dei fanciullo è sempre qualche cosa che ride, una festa interiore che apparisce nella purezza e soavitá de’ suoi lineamenti. La ua presenza rasserena l’umana tragedia; e spiana le grinze dal volto di Goetz, quando tornando dalle battaglie fanciulleggia col suo figliuolo, e fa ridere in mezzo alle lacrime Andromaca, «idea piangendo», come dice Omero, quando vede il suo bambino pareggiato dal padre. Tale è lo schietto ideale del fanciullo,