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220 | saggi critici |
una realtá illuminata dalla rimembranza, tutta l’illusione della vita e tutto il disinganno della morte intrecciato, compenetrato, effetti contraddittorii fusi insieme, del presente e del passato in un solo periodo poetico, quel suono lontano di voce, quello scolorare del volto, e quella finestra deserta, e quel mesto raggio delle stelle:
quella finestra, Ond’eri usata favellarmi, ed onde Mesto riluce delle stelle il raggio, È deserta. Ove sei, che piú non odo La tua voce sonar, siccome un giorno, Quando soleva ogni lontano accento Che, dal tuo labbro, a me venisse, il volto Scolorarmi? Altri tempi. I giorni tuoi Fûro, mio dolce amor... |
Anche qui è accenanto al mistero inchiuso in questo apparire che è uno sparire, e in questo sparire che è uno apparire: «Spegneati il fato»; «passasti; ad altri il passar per la terra oggi è sortito». Ma vi è accennato come a un fatto noto e abituale, di cui è vano mover lamento. Il concetto è tutto profondato e sommerso nella storia individuale e non se ne stacca, come nella Silvia.
Nerina e Silvia sono il tipo piú accentuato delle donne sparenti. La loro vita è un sogno, un fantasma indefinito e muto, fuggente, fluttuante. I nostri antichi rappresentavano la donna anche cosí, considerando la vita come il velo o l’apparenza del divino o dell’angelico, come il raggio tremulo e sparente della vita eterna e fissa. Scorporavano, idealizzavano la vita, cercavano nell’umano il divino. Innanzi a Leopardi non c’è che l’umano e il naturale. La sua donna si compiace delle lodi, ragiona d’amore con le compagne, parla all’amante dalla finestra, si adorna a festa, ha sul seno il fiore, pensiero dell’amante. E non è perciò men bella e men pura e meno ideale. È un ideale umano che nasce dalla morte e dall’amore, i due grandi motivi di ogni poesia. La morte imprime sulla faccia di Silvia quel carattere muto e sparente che rende tutta la sua vita fug-