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il farinata di dante | 295 |
L’inferno qui ci sta non per sé stesso, nel suo significato diretto e morale, perché ciò che qui ti colpisce non è certo Farinata peccatore, Farinata in quanto è eretico. Il peccato è menzionato unicamente a dare spiegazione, perché in questo cerchio si trovino Farinata e Cavalcanti. Dinanzi alla grandezza morale di Farinata, al suo ergersi, tutte le figure diventano secondarie, e lo stesso inferno ci sta per dar rilievo alla sua grandezza. Nella nostra immaginazione l’inferno è la base e il piedistallo su cui si erge Farinata. E come l’inferno è scomparso, cosí è del pari scomparso il Dante simbolico. Dante non è qui l’anima umana peregrina per i tre stadi! della vita, ma è un Dante di carne e ossa, il cittadino di Firenze, che ammira il gran cittadino della passata generazione, e rimane come annichilito innanzi a tanta straordinaria grandezza. Eccolo li, innanzi all’uomo che ha desiderato tanto di vedere: il suo viso rimane «fitto» in quel viso: egli è lá, estatico, turbato, e non sa quel che si faccia, ed è necessario che Virgilio lo scuota e lo pinga con le mani verso di lui: — Desideravi tanto di veder Farinata e di parlargli; accostati, ch’egli ti possa udire: «le parole tue sien conte» — .
Io avea giá il mio viso nel suo fitto: Ed ei s’ergea col petto e con la fronte, Come avesse l’inferno in gran despitto: E l’animose man del duca e pronte. Mi pinser tra le sepolture a lui. Dicendo: Le parole tue sien conte |
Se questa magnifica messa in iscena desta nell’anima il sentimento della grandezza e della forza, le prime parole di Fari-