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settembrini e i suoi critici 259

litá di popoli in decadenza; in Italia mi pajono avanzi per lunga consuetudine di costumi servili; e se la libertá dee fruttificare, desidero che gl’italiani possano cancellare quell’opinione di falsitá che di essi è sparsa nell’Europa civile, e acquistare i modi schietti e virili che son proprii delle nazioni forti e libere.

Sieno dunque i ben venuti i signori Montefredini e Zumbini; e vogliano essi perseverare in questa via, di dire e di operare con perfetta sinceritá, accompagnata con quella urbanitá di gentiluomo, che è la grazia e il condimento del vero. Per noi è troppo tardi: siamo quello che siamo; spetta alla nuova generazione trarre buoni frutti dalla libertá che noi le abbiamo conquistata, la piú preziosa ereditá che si possa lasciare a’ figliuoli.

E c’è un’altra cosa che in questi scritti mi ha fatto impressione: ed è lo stile. La nostra generazione, salvo pochissimi, è piú o meno nello stile arcadica, rettorica, e talora nebbiosa, come gente vissuta fuori della pratica delle cose, e nutrita in mezzo alle astrazioni ed a vaghe aspirazioni. Nel fòro, ne’ teatri, nel parlamento, ne’ diarii, nelle poesie, nelle prose, fino nelle trattazioni scientifiche regna spesso la rettorica, una certa esagerazione de’ sentimenti, un certo lirismo d’immagini, uno scaldarsi a freddo nelle cose piú semplici, e certe consuetudini e maniere di espressione, che sono testimonianza flagrante della nostra poca sinceritá nel pensiero e nella parola e soprattutto ne’ lavori letterarii. Di questa lebbra nessun vestigio ne’ due scritti che avevo innanzi: nel Montefredini la severitá dello stile è tale che rasenta l’aritmetica, con quelle osservazioni addossate senza tregua le une sulle altre come fossero cifre; nello Zumbini lo stile è quieto, uguale, come acqua che vada per la china senza intoppo e senza rumore, e niente vi trovi soperchio e artificiato. Dissi fra me; — Il Settembrini scrive cosí vivo e spigliato: in veritá mi pare che il Settembrini sia il giovine, e i vecchi siano loro — .

Ma è vecchiezza che mi piace, perché nasce non dallo scarno e dall’arido d’immaginazioni povere, ma da un radicale mutamento nel punto di vista. È la nuova generazione che piglia