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francesca da rimini 247

niamo anche colpevole, questa donna sentiamo che fa parte di noi, della comune natura, e desta il piú alto interesse, e cava lacrime dall’occhio dell’uomo, e lo fa cadere «come corpo morto». Francesca niente dissimula, niente ricopre. Confessa con una perfetta candidezza il suo amore; né se ne duole, né se ne pente, né cerca circostanze attenuanti e non si pone ad argomentare contro di Dio. — Paolo mi ha amata, perché io ero bella, ed io l’ho amato perché mi compiaceva d’essere amata, e sentivo piacere del piacere di lui. — Sono tali cose che le donne volgari non sogliono confessare neppure all’orecchio. Chiama «bella persona» quello di che s’invaghi Paolo; chiama «piacere» il sentimento che ancora non l’abbandona; e quando Paolo le baciò la bocca «tutto tremante», certo la carne di Paolo non tremava per paura. Qui hai propria e vera passione, desiderio intenso e pieno di voluttá. Ma insieme con questo trovi un sentimento che purifica e un pudore che rivergina; talché a tanta gentilezza di linguaggio mal sai discernere se hai innanzi la colpevole Francesca o l’innocente Giulietta. Ci è qui entro un’aura di tenerezza e di dolcezza che alita per tutto il canto, una delicatezza di sentimenti squisita, ed una cotal morbidezza e direi quasi mollezza femminile in che è l’incanto di queste nature, e che si sente cosi bene nel verso:

                               Farò come colui che piange e dice,
                         

cosí simile di senso, ma cosí diverso di accento dall’altro:
                               Parlare e lagrimar vedra’ mi insieme.
                         

Un minimo atto di bontá che passa inosservato per gli uomini volgari, è un tesoro per le anime delicate. Infine che cosa aveva detto Dante?
                               .  .  .  .  .  .  O anime affannate,
Venite a noi parlar, s’altri non niega.
                         

Un interprete si maraviglia che Dante non li abbia pregati per «quell’amor ch’ei mena», come avea consigliato Virgilio;