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quasi in atto di allontanarli, ed a gridar: — Che orrore! — È un’altra specie di poesia, ma è poesia: è il sentimento del bello che spunta dalla sua negazione. Ma, per riuscire a questo, lo scrittore deve con fuggevole mano disegnare il turpe fantasma, di modo che al primo guardarlo l’occhio ne rifugga spaventato senza virtú di tornarvi sopra, e si generi in noi quella impressione istantanea ch’è detta «il sublime dell’orrore». Se per contrario lo scrittore vi si arresti su, e vi si delizii e vi ci stia come a suo grand’agio, noi ci dimestichiamo con quelle immagini, il sublime e l’orrore vengon meno, e non rimane che un prosaico disgusto. Ond’è che di tali situazioni voi potete ben farne una storia, gli antecedenti di un romanzo o di un dramma, com’è il delitto di Edipo, un episodio rapido alla maniera di Dante, un tratto fuggitivo che lasci intravveder tutto l’altro alla fantasia atterrita, ma voi non potete farne un romanzo. E che situazione da romanzo è mai quella, che non si può dispiegare in tutta la sua ricchezza, che v’impaccia ad ogni passo, ed a cui non potete alzare tutto il velo che la ricopre? Una delle piú sublimi scene del teatro greco è il lungo grido d’orrore, che manda fuori Edipo con la natura e con gli spettatori, quando si fa manifesto il suo inconscio delitto. Ma che sarebbe stato, se Sofocle avesse voluto far soggetto di tragedia le incestuose nozze? Quando si conosce il segreto obbietto della fatale passione di Mirra, la donzella muore, ed il sipario cala. Fatemi dunque un romanzo dell’amore di un padre verso la figlia! Ma che dico amore? è una bestiale libidine suscitatasi nelle vecchie carni, senza che il disgusto sia pur temperato da quella profonda pietá che desta sempre la vera passione. Che è dunque avvenuto? Il Guerrazzi, comecché audacissimo e vago del mostruoso, non ha osato di guardar per entro alle riposte latebre di questa situazione e seguirla nel suo naturale procedimento; e cammina a sbalzi, omettendo per via tutte le gradazioni, e i chiaroscuri, e le mezze tinte, senza di cui non vi è l’evidenza e la pienezza della vita. Il fatto principale del racconto vi comparisce qua e lá, a grandi distanze, con circostanze’ estreme, di cui vediamo d’improvviso la punta senza conoscer la linea che vi ha con-