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delle «opere drammatiche» di f. schiller i9

la intendo nell’Edipo, nel Prometeo e nell’Orestiade. Che se almeno avesse voluto abbracciare in tutta la sua pienezza l’ultimo stadio della vita procellosa di quest’uomo straordinario, cominciando dal punto in che ad un tempo i primi sospetti entrano nella corte, e i primi pensieri di ambizione germogliano nel suo animo, io intenderei tanta larghezza di forme, come la intendo nel Macbeth, nel Re Lear, nel Riccardo III e nella Morte di Cesare. Ma no: qui Wallenstein è ritratto negli ultimi giorni del suo destino; i caratteri e gli affetti sono giá pervenuti nella ultima loro determinazione, e l’azione che dá principio al lavoro, è giá tale che una catastrofe prossima è inevitabile. Poche scene aggiunte o modificate basterebbero alla piena intelligenza del terzo dramma, il quale da sé solo ha il suo significato compiuto: perché dunque ha voluto Schiller dilargare in tre drammi una situazione si semplice? Egli medesimo nel suo bellissimo prologo ha dichiarata la sua intenzione. Egli ha voluto rendei familiari gli uditori con quei tempi, e metter loro dinanzi i caratteri dei personaggi prima ancora di farli entrare nell’azione principale. L’azione nel primo e secondo dramma non ha alcuna importanza di per sé stessa: ella serve a dar lume e rischiarare bene i personaggi che debbono appresso operare. Ma l’arte è sintesi: e, come il pittore ritrae l’anima nel volto, il poeta mostrar dee i caratteri nello stesso movimento dell’azione drammatica. Ben so che alcuni moderni han creduto di ritrarre i caratteri con maggior profonditá, separandoli dall’azione, e immaginando non so quale distinzione fra dramma di carattere e dramma di azione. Ben può il Filosofo analizzare l’azione ne’ suoi elementi come divide l’anima nelle sue facoltá, e il raziocinio e il giudizio nelle sue parti. Innanzi al Poeta, come innanzi al popolo, la vita non è altro che azione, espressione viva e parlante di tutto l’uomo. Sicché, quantunque niuno piú di me ammiri principalmente il primo dramma, cosí animato e pittoresco, pure io son di credere che in quelle forme sia alcun che di cercato e di artificioso che mostra meglio il lavoro della mente, che la spontaneitá dell’arte. E se lecito mi è di opporre Schiller a Schiller, io addurrò in esempio il Guglielmo Tell, la cui forma derivata