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i. per una storia della letteratura i83

in rima di ogni condizione; quivi erano gli eccellentissimi cantatori, quivi erano persone di ogni sollazzo, che si può pensare virtudioso ed onesto» (Buti, citato dal Trucchi). Andiamo ora all’altra estremitá di questo periodo letterario, a re Manfredi. «Lo re la notte esceva per Barletta cantando strambotti e canzuni, che iva pigliando lo frisco, e con isso ivano dui musici siciliani, che erano gran romanzatoli» (Matteo Spinelli, citato dal Trucchi). La poesia per costoro non è una cosa seria; nessuno ha ricevuto dalla natura il caro dono dell’arte. Né mi si dica ch’io domando troppo piú che non sia possibile in questi rozzi inizii. Perché ciò che domando è appunto questa rozza poesia popolare, ingenua, schietta, vera. Leggete le poesie in dialetto siciliano, napoletano, lombardo, veneziano, ecc., e voi sentirete risonare tutte le corde dell’anima commossa, gelosia, amore, malinconia, e gioie e dolori, e fantasie e illusioni; vi abbonda la grazia e non ci manca la forza: il popolo è un gran poeta.

Certo non dovevano mancare a quel tempo canti popolari di questa sorta in dialetto, ma non è lá che attínsero i nostri uomini colti; amarono meglio di poetare in provenzale. E quando allato al dialetto sorse un’altra lingua, gentile e cortigiana, vi gittarono entro una poesia tutta fatta e d’imprestito. La lingua letteraria fe’ cadere in oblio la lingua e la poesia del popolo.

Quando la coltura si spande in un popolo, sorge immediatamente come un muro che separa il volgo dalle cosí dette classi colte. Nel Regno gli uomini colti si riannodarono intorno alla Corte, e cominciò a comparire ne’ costumi e ne’ modi una certa gentilezza ed eleganza. Gli uomini costumati e civili furon detti «cortigiani» e «cortesi»: il che aiuta a spiegare i «cortesi» amanti di Petrarca. Il primo effetto notabile di questa coltura è una nuova lingua, che le classi colte si foggiano a loro simiglianza. Vogliono distínguersi dal volgo nel parlare, come se ne distínguono ne’ modi e nelle vestí. Nacque cosí la lingua «cortigiana» o «aulica», la lingua degli uomini «cortesi».

La lingua delle classi colte è essenzialmente diversa dal dialetto. Questo non esce mai dal cerchio delle mura domestiche;