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xi. 1819 - gl’idillii 91
La sua anima stagnata in sé stessa ripiglia vigore, si getta di nuovo in fantasia. Il suo fato si sperde nel fato universale. Il suo dolore si trasforma e si raddolcisce in una malinconia meditativa. La sua persona è scomparsa nel genere umano. Non è più la storia sua, è la storia del mondo. Gli compariscono innanzi i popoli antichi, e Roma. Dov’ei sono?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e piú di lor non si ragiona.

Fantasia non nuova e che sarebbe pedantesca se non uscisse qui dalle intime latèbre di un cuore ferito, sì che acquista un sentimento nuovo. Perché, se la persona è scomparsa come materia della contemplazione ed è succeduta una materia nuova, questa è nata da quella e conserva nella sua forma quel calore e quel sentimento. Perciò non è un’astrazione, non una produzione dell’intelletto, ma è lo sviluppo di uno stesso momento psicologico particolare e personale. La persona in quella data disposizione dello spirito fa sentire dapertutto le sue vibrazioni. Quella considerazione del fato universale, suscitata da una impressione tutta personale del canto notturno, finisce con un commovente ritorno alla persona. È un ricordo della fanciullezza, simile canto, simile stretta di cuore, simile fatto:

Nella mia prima metà, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udìa per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.

Allora non sapeva perché. L’impressione cosciente dell’adulto è ripetuta nell’impressione ignorante della prima età, in una intonazione più soave, a quel modo che è il ritornello di un motivo, in suoni meno accentuati e più melodiosi. Il dolore dell’adulto, tanto più acuto, quanto più intelligente, si smorza in una dolcezza malinconica di un candore infantile.