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xxxvi. il nuovo leopardi 267

l’andar cercando forme e modelli, gli doveva parere una profanazione. Era salito a quel punto di perfezione, che la forma non ha più valore per sé, e non è che voce immediata di quel di dentro. L’uomo era venuto nella piena coscienza e nel pieno possesso di sé.

Si può credere che nota dominante di questo mondo psicologico chiuso in sé con frequente ritorno degli stessi pensieri e sentimenti, fondato sulla infelicità universale, sia tristezza e monotonia. Ma il poeta ha ricuperato il suo cuore e con esso la facoltà di immaginare e di sentire. Questo regno della morte e del nulla è pieno di luce e di calore. Il poeta dovea sentirsi felice in quei rari momenti che poteva cantare la sua infelicità; e felice tu lo senti nel brio e nella eloquenza della sua rappresentazione. Riempie di luce i sepolcri, inspira la vita nei morti, anima le rimembranze, ricrea l’amore, con un tripudio di gioventù. Niente è più triste e niente è più gioioso. È la tristezza della morte ed è la gioia dell’amore, fusi insieme in una sola persona poetica; come, non sai. Appartengono a questo tempo Silvia, le Ricordanze, la Quiete dopo la tempesta, il Sabato del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, poesie nuove che comparvero, oltre il Risorgimento, nella edizione del Piatti in Firenze, e forse anche il Passero solitario e il Consalvo. Questi caratteri si mantengono anche nelle altre poesie pubblicate nell’edizione di Napoli, e tutti insieme costituiscono il «nuovo Leopardi».