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xix. 1822-23 - «alla sua donna» 171
Gli uomini cercano di realizzare il loro ideale; egli temeva di avvicinarlo al reale, e serbava l’«alta specie» nell’immaginazione; la felicità per lui era solo contemplativa. E anche questa felicità gli è tolta.

        Je vois avec une sort d’effroi que mon imagination devient stérile.

Questa canzone non è dunque una generalità, e tanto meno una imitazione o una reminiscenza. Qui dentro si muove tutta una storia personale in ciò che ha di più intimo. Ci si vede un momento felice in cui l’immaginazione s’è desta, e contempla la sua amata de’ primi anni, e se la pinge viva, al volto, agli atti, alla favella. E ne nascerebbe un entusiasmo giovanile, se non fosse contenuto dal mesto pensiero, che quella donna non è persona ma specie, l’«alta specie»; e che non gli è dato neppure di serbare quella: «e potess’io l’alta specie serbar»!

Se paragoniamo insieme la canzone alla giovinetta malata, il Sogno e quest’inno Alla sua donna, possiamo scorgere meglio il cammino del suo pensiero. La prima canzone non manca di alcuni tratti originali, ma nel concetto e nella forma è imitazione petrarchesca. Nel Sogno la donna morta in terra, e trovata in cielo più bella e meno altera è detronizzata; la donna del Sogno dice: «di beltà son fatta ignuda». Oltre a ciò è ivi l’espressione di un vero amore naturale, più a modo di Saffo, che a modo di Petrarca:

                                        Or mentre
Di baci la ricopro, e d’affannosa
Dolcezza palpitando all’anelante
Seno la stringo, di sudore il volto
Ferveva e il petto, nelle fauci stava
La voce, al guardo traballava il giorno.

Questi impeti questi rapimenti non li troveremo più. Nella sua lettera a Jacopssen dice:

Dans l’amour, toutes les jouissances qu’ éprouvent les âmes vulgaires, ne valent pas le plaisir que donne un seul instant de ravisse-