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prudenziali e marchegiani di mio padre,... scriveremmo sempre sopra gli argomenti del secolo di Aronne... Il mio intelletto è stanco delle catene domestiche ed estranee.» E in sul primo dispetto non voleva più pubblicare nulla; poi, rabbonito, pubblicò la sola canzone Ad Angelo Mai, accompagnata da una dedica al conte Leonardo Trissino, rifatta poi nell’altra edizione del 1824. Ivi è notabile questo periodo:

Ricordatevi che si conviene agli sfortunati di vestire a lutto, e parimente alle nostre canzoni di rassomigliare ai versi funebri.

Vi si rivela il suo entusiasmo lacrimoso.

E il padre ne fece anche un’altra. Si lagnò col Brighenti di Pietro Giordani, che a suo parere aveva guasta la testa a Giacomo, insinuandogli opinioni pericolose. E Giacomo, saputa la cosa, nota:

Mio padre se voleva dei figli contenti in questo stato, dovea generarli d’altra natura, ed ora non dovrebbe imputare a persone venerabili e rinomate in tutta l’Italia quello ch’è necessità delle cose evidentissima a tutti, fuorché a lui solo.

Si comprende che questi screzii domestici dovevano rendere Giacomo più schivo di Recanati, e più impaziente a procacciarsi una posizione indipendente. Ma vane furono le pratiche iniziate e dal Giordani e dal Brighenti a questo effetto.

Tale è il succo della corrispondenza tra Leopardi e Brighenti nel 1820. Onde nasce che le opinioni politiche e religiose del giovane erano già pubbliche, divenuto così irrimediabile lo screzio fra padre e figlio, e che il figlio, inasprito il suo carattere dalla solitudine, dalla salute cagionevole e dalle catene domestiche, esagerava lo screzio e lo volgeva in tragedia, come avviene a tutti gli scontenti che si lascino governare dall’immaginazione. Il curioso è che molti critici pigliano i lamenti di un povero malato come vangelo e ne fanno argomento di processo contro il padre, mostrandosi presi da quella stessa malattia. Che il padre fosse in disaccordo col figlio nelle opinioni religiose e politiche, è chiaro. Che fosse un po’ pedante, un po’ esagerato nella sua pru-