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xiv. don abbondio 285
Finalmente la scena si colorisce e si viene all’ultima spiegazione. Perpetua dice il suo parere con modo grossolano: — «E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi valere, si porta rispetto; e appunto perché ella non vuol mai dir la sua ragione, siamo ridotti a segno che tutti ci vengono, con licenza, a...» — . Potete immaginare che porcheria ci voleva attaccare; e don Abbondio: — «Volete tacere?» — .

        E Perpetua continua: — «Io taccio subito; ma è però certo che quando il mondo s’accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le...» — «Volete tacere?»— , ripeteva don Abbondio.

E qui vedete comparire in forma indecente in bocca a Perpetua il suo carattere violento.

Don Abbondio segue a far delle lamentazioni (egli è già diventato chiacchierone), non vuol saperne di cena, né del vino che gli acconciava lo stomaco; prende il lume, e brontolando si avvia per salire in camera. Quando giunge in capo alle scale, quando già si era sfogato, sorge in lui novellamente la prudenza, ed in se stesso par che dica: — Oh! che ho fatto a parlare!— . Ond’è che si voltò indietro verso Perpetua, e mettendosi il dito sulla bocca, «disse, con tuono lento e solenne: — Per amor del cielo! — ».

Così finisce il capitolo.

Che cosa ho fatto io, o signori, in questa lezione? Ho fatto quello che in Inghilterra si dice una lettura; ho letto un capitolo del Manzoni e l’ho gustato con voi, per farvi sentire tutta la delicatezza delle situazioni de’ personaggi del Manzoni. E capirete che a voler fare letture di questa fatta, io non la finirei; ond’è che dopo avervi fatto questo saggio, io [non] userò [più] questo metodo eccellente ad educare il gusto nel giudicare di un autore, e vi parlerò delle altre situazioni trasvolando su di esse; e voi dopo questa lezione sarete in grado di comprendermi a fior di labbra.


        [Ne L’Era Novella, 24-25 maggio 1872].